domenica 13 dicembre 2009

La favola del "Jungle Team"

“Nello zoo di Roma, il guardiano permetteva sempre ai suoi animali di giocare a basket nel “bosketto”, per distrarsi dallo stress delle visite. Unica condizione, che non litigassero. Quelli più adatti formarono una squadra e cominciarono a prepararsi per il campionato europeo degli zoo. Come detto, non tutti gli animali potevano partecipare, ma solo quelli in possesso di caratteristiche particolari, simili all’uomo: 1- Il Delfino, per la sua intelligenza e capacità organizzative, ma soprattutto per la sua attitudine ad aiutare gli altri; 2- La Volpe, per la sua astuzia e capacità di ingannare gli avversari; 3- Il Cavallo, per l’intelligenza e la sua propensione alla corsa; 4- Il Leone, per la sua potenza e combattività; 5- La Scimmia, per l’agilità e capacità di copiare i movimenti tecnici “vincenti” degli avversari e farli suoi.
Il guardiano aveva loro concesso la possibilità di utilizzare due recipienti dell’immondizia che accuratamente incastravano fra due rami degli alberi “a mo’ di canestro” e come palla usavano quella presa dalla scimmia ad un bambino che avventatamente aveva lanciato dentro la gabbia. Mancava solo l’allenatore che potesse aiutarli negli allenamenti e gestire le situazioni speciali della partita. Inizialmente scelsero il “Cane” del custode perché col suo abbaiare dava l’illusione di poter guidare il gruppo. Presto però si accorsero che il suo carattere scontroso era incompatibile con la sensibilità degli animali della squadra e lo sostituirono con l’elefante molto più rassicurante per la sua prestanza fisica e per la nota capacità di tolleranza e sensibilità ai problemi della squadra.
Il gruppo andava d’accordo anche perché la presenza dell’allenatore garantiva la pace tra gli animali e, in campo, l’armonia era foriera di risultati sportivi eccellenti: dopo sole cinque partite erano primi in classifica nel campionato europeo ed erano già stati invitati a cena dal presidente dello zoo di Roma. L’intelligenza del delfino e del cavallo era messa a disposizione della squadra, il coraggio del leone garantiva la supremazia della lotta per i rimbalzi sotto gli alberi, mentre l’agilità della scimmia e la furbizia della volpe venivano trasformate in un rendimento veramente elevato sotto il profilo delle realizzazioni. Ognuno aveva un talento da offrire alla squadra ed il primato in classifica sembrava irraggiungibile per gli avversari. Alcuni giornalisti della “Jungle-Gazzette” si erano anche sbilanciati nell’ammettere che tutto era dovuto all’intelligenza e perseveranza del “super-coach”, considerato ora come un mago.
Ma un giorno la volpe, non soddisfatta dai successi di squadra, si lasciò sopraffare dal proprio egoismo che si insinuò perversamente nei suoi desideri. Se avesse segnato più canestri avrebbe avuto maggiori attenzioni dalla stampa ed anche i suoi tifosi personali le avrebbero tributato grande interesse. E così in campo era pronta a prendere il primo passaggio dalla rimessa dal fondo e, con forzati “slalom”, si esibiva in solitari "tiri della disperazione”. Il primo compagno ad arrabbiarsi fu la scimmia che tentò subito di sgambettare la volpe per impedirle i suoi individualismi, ma anche per farle un dispetto. Ne approfittarono subito gli avversari che recuperando la palla, avevano facili occasioni per realizzare canestri indisturbati. Il leone, istintivamente, si arrabbiò e scatenò la sua collera mordendo ingiustamente gli avversari e “ruggendo” vistosamente contro gli arbitri che furono indotti ad espellerlo e squalificarlo.
Senza il leone la squadra perse tre incontri consecutivi, i tifosi si arrabbiarono, la stampa specialista incolpò l’allenatore che ora rischiava il licenziamento da parte del presidente dello zoo di Roma.
Il delfino ed il cavallo, notoriamente più intelligenti e sensibili andarono a parlare con l’elefante per cercare di risolvere questo problema nato per una questione di egoismo ed invidia. L’elefante invitò a cena tutta la squadra per parlare insieme del problema e sentire da ogni animale quale fosse la sua versione sulla situazione precaria della squadra e le proposte per uscirne. Alcuni animali dissero che erano preparati male fisicamente, altri che gli schemi erano vecchi, ma la volpe, paradossalmente disse che si sentiva fuori dal giuoco di squadra e non aveva soluzioni tecniche per esprimere il suo talento. Il solito vittimismo del colpevole. Quando fu il turno del delfino, disse che l’amicizia era uscita da quella famiglia e, per farla tornare, occorreva che ogni animale si ricordasse dell’armonia iniziale ed abbandonasse la voglia di glorie personali. L’elefante, saggiamente, ricordò che era bene non leggere troppo la “jungle-gazzette” e che i tifosi non erano dei veri amici perché rovinavano, senza volere, la concordia della squadra. Disse anche che si trovava perfettamente d’accordo col delfino e, allo scopo, propose di ripetere quella cena una volta al mese facendola a turno “in casa” di ognuno e con la squadra al completo.
Il rivedersi più spesso e lo stare insieme rinsaldò lo spirito di squadra momentaneamente logorato ed il gruppo con l’amicizia ritrovò il piacere di giocare insieme e la vittoria.”

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